Vi proponiamo oggi un articolo sul tema Industria 4.0 e PMI a cura di un socio esperto sull’argomento.
Recentemente API (Associazione Piccole e Medie Imprese) ha diffuso i dati raccolti dal suo Osservatorio su Industria 4.0: fra l’altro, è emerso che circa il 25% degli imprenditori intendono avviare processi in tale direzione nei prossimi 5 anni.
E gli altri 3/4 delle imprese?
Questo risultato testimonia che, guardando al tessuto industriale italiano, tutto il gran parlare che ormai da molti mesi si sta facendo su Industria 4.0, Smart Manufacturing, Rivoluzione Digitale, e tutte le altre belle definizioni così di moda, ha fino ad ora ha sostanzialmente fallito il suo scopo principale: rendere consapevoli le aziende, di qualsiasi settore e dimensione, che l’entrata in questa corrente non è una scelta opzionale, ma al contrario è un dato di fatto che sta già raggiungendo tutti, come venditori, produttori e clienti.
Il punto quindi non può essere “se” avviare processi in tale direzione, dato che tali processi, che piaccia o no, si sono già avviati fuori e sopra le singole aziende, e presto o tardi arriveranno a coinvolgerle (se non l’hanno già fatto …); il punto deve essere “come” governare, e non subire passivamente, gli effetti e le influenze, anche molto profonde, che tale coinvolgimento inevitabilmente causerà.
Non è infatti la singola azienda, grande o (a maggior ragione) piccola che sia, che può decidere, per esempio, il grado di personalizzazione dei prodotti voluto dai consumatori finali (nel fashion, nel luxury, ma anche nell’impiantistica e nella componentistica), o il livello di servizio richiesto dai suoi clienti (che siano automotive, o grande distribuzione, o utilities, o singoli individui), o il prezzo accettato dal mercato (a meno che, ovviamente, non si sia in grado di offrire qualcosa di unico): questi elementi sono vincoli dati, sempre più stringenti e sempre più rapidamente in evoluzione, e le imprese, tutte, devono scegliere se continuare a competere, cavalcando (e magari anticipando) le richieste o se viceversa, molto semplicemente, uscire dal gioco.
Questa è la realtà, che, per molti versi, è poi la solita, dato che da sempre le aziende devono muoversi dentro uno scenario competitivo: oggi tale scenario prevede più velocità, più interdipendenza e più complessità, e quindi fare impresa può essere più difficile, ma non è certo impossibile (e, soprattutto, può dare ancora molte soddisfazioni).
La sfida è capire come continuare a competere, e la risposta è rappresentata dalla digitalizzazione dei prodotti / servizi offerti e dei processi – produttivi, gestionali e di relazione con il mercato – messi in atto: questa non una fra le opzioni possibili, ma, nel lungo periodo, l’unica possibilità, perché anche la più specialistica, artigianale e manuale delle imprese prima o poi si troverà ad avere competitori in grado di offrire (per esempio) prodotti analoghi in tempi più brevi, o arricchiti da servizi complementari, o (sempre per esempio) ad avere sempre più clienti che chiedono modalità di acquisto (“customer experiences”, come si dice …) diverse e nuove, che non passano dalla sola relazione tradizionale.
È la digitalizzazione lo strumento che permette di far fronte a queste, ed a tutte le altre innumerevoli possibili sfide esterne, e tutte le imprese devono essere consce di questo: la digitalizzazione è quindi una grande opportunità, non un pericolo.
Le imprese devono però essere anche consapevoli che la “Rivoluzione Digitale” – che si declina in Industria 4.0 nella manifattura, in connettività e “servitizzazione” dei prodotti, in smart e mobile working nelle organizzazioni, in approccio “data-driven” nei processi decisionali, e così via – non è semplicemente un insieme di tecnologie, ma in realtà si fonda su un cambiamento di paradigma, con l’azienda che da struttura sostanzialmente chiusa, statica, pensata in termini gerarchici e competitivi, deve trasformarsi in un ecosistema (formato da parti che cooperano fra loro restando dinamicamente in equilibrio), che vive all’interno di ecosistemi più ampi, che coinvolgono clienti, fornitori e stakeholders in genere.
Solo dopo questo passaggio culturale l’impresa potrà accostarsi all’immenso bouquet di strumenti e soluzioni che concretizzano la “Rivoluzione Digitale”, al fine di scegliere ciò che più possa esserle utile, per risolvere criticità o cogliere opportunità, e a questo punto le modalità di implementazione – priorità considerate, aree coinvolte, risorse dedicate, velocità, e così via – saranno scelte tattiche dettate dalla situazione istantanea dell’azienda, che però, in quanto riferite ad un modello strategico complessivo, potranno restare fra loro coerenti anche se attuate “a macchia di leopardo”, come in effetti è consentito dalle tecnologie coinvolte, che in genere si prestano ad applicazioni modulari e scalabili.
In sintesi, quindi, per una impresa – grande o piccola – il “come” entrare nel flusso della Rivoluzione Digitale passa attraverso tre passaggi
-accettare che questo coinvolgimento è ineludibile, e può essere subito o governato, ma non evitato, in quanto parte integrante dell’evoluzione dello scenario competitivo di ciascuno
-farsi consapevole che tale coinvolgimento è costituito prima di tutto da un cambio di paradigma, da struttura chiusa e statica ad ecosistema parte di ecosistemi più ampi, e dotarsi di una nuova visione strategica coerente con tale nuovo paradigma;
-solo a questo punto scegliere, in coerenza con tale visione e passo passo, le tecnologie e gli strumenti più opportuni per muoversi lungo il percorso di trasformazione digitale, e procedere alle implementazioni secondo le proprie necessità e capacità.
Se, al contrario, si parte concentrandosi su tecnologie e strumenti, calcando la mano sull’immagine “disruptive” (e, in fondo, modaiola) della Rivoluzione Digitale, senza contestualizzarla alle singole realtà, il risultato che si ottiene è quello detto all’inizio: il 75% delle PMI, in Italia, di fronte ad Industria 4.0, dicono “no, grazie, non ci serve”, senza rendersi conto che in questo modo si condannano all’emarginazione ed alla morte. E se si è commesso questo errore di approccio, l’aggiunta di incentivi economici e finanziari (il “Piano Nazionale”, i bandi di finanziamento, etc.) non sarà di grande aiuto: essi cadranno nel vuoto, o al più “drogheranno” il sistema, generando investimenti casuali, opportunistici, e, di fatto, in genere privi di effettivi ritorni di lungo periodo.
Il rischio che accada proprio questo è concreto, e tocca a tutti gli attori in campo – istituzioni, associazioni di imprese e professionali, consulenti, imprenditori e manager – comprenderlo e muoversi, con la massima urgenza ed incisività, per mitigarlo: auguriamoci che ciò accada, se non vogliamo che il sistema industriale italiano perda anche questa opportunità (che, ormai, potrebbe davvero essere l’ultima). (testo di Bruno Lodi)
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